5 Favole dell’Abate Bertola

Aurelio de’ Giorgi Bertola è stato un poeta e scrittore italiano nato il 4 agosto 1753 a Rimini e morto il 30 giugno 1798 a Pavia. Tra le sue opere ho trovato “Favole dell’Abate Bertola”, Capolago, Tipografia Elvetica 1834, un compendio della più vasta trilogia “Operette in verso e in prosa dell’abate de’Giorgi Bertola”, pubblicata a Bassano tra il 1785 (i primi due volumi) ed il 1789 (terzo volume). Da tale volumetto postumo di 106 pagine, reperibile su Google libri ( https://books.google.it/books?id=f5-YmGbWTqcC ) e su archive.org ( https://archive.org/details/FavoleDellAbateBertola ) traggo le prime 5 FAVOLE

I.
La serpe e il Riccio.

La serpe velenosa
Rampogna al Riccio fea,
Ch’altra arme non avea
Che una scorza spinosa:
Ben con arme sì frali
Ad assalir tu vali
Degl’insetti la plebe
Che striscia fra le glebe
O meglio ancor fai guerra
Ai grappoli vicini
Fra cui lordo di terra
T’avvolgi e ti strascini.
E il Riccio; eppure ho fede
Esser meco cortese
Più che con le natura;
Tanto solo mi diede
Che basti alle difese;
Dolce vita e sicura:
Che altrui timor non movo,
D’altrui timor non provo.

Pagina 3

II.
Il Delfino e il Letterato

Sorse tempesta, e un legno
Carco di varie genti
Per lo nettunio regno
Volser sossopra i venti;
Entro i gorghi vicini
Albergo avean delfini,
Che corsero, e più d’ uno
Tolsero all’orco bruno.

Un di què’pesci avea
Uom che ritorno fea
Dal ricco Indico mondo
Condono un giorno a riva;
Politico profondo
Che via d’industria intatte
Mentre in sua mente apriva
A Batavia, a Suratte,
Sulla poppa seduto
Era nel mar caduto.
Nel tragitto cortese
Di più cose il richiese,
Onde il capo s’empieo
Di commercio europeo.

Ora il Delfino istesso
A un naufrago fu presso,
Che di letteratura
Facea suo pasto e cura.
A lui, cammin facendo,
Leggi tu, le domanda,
Le gazzette d’Olanda.
Bella! s’io le distendo:
Oh di te parleranno,
Amico, almeno un’anno:
Vedrai sovente, io credo,
Lo Zuiderzèe. Se il vedo!
Qual uom! che brio! che mente!
Gli è mio gran confidente …
In udir tal discorso
Scotesi il condottiere,
E l’impostor dal dorso
Lascia nel mar cadere;
Tanto fin anche a un pesce
Un impostor incresce!

La moda il vuol, millantati,
Cita l’autore, il tomo:
Che importa se confondasi
Un golfo con un uomo?

Pagina 3,4

III.
Le due Colomba di Citerea

Due Colombe avea Citerea,
Per insolita beltà
L’una ha regno, e l’altra impera
per gentil vivacità.

Tosto in due la gran coorte
Degli augelli si partì:
Alla bella altri fe corte,
La vivace altri segui.

Quella incanta il primo giorno,
L’altro giorno incanta men;
A’ vivi occhi, al collo adorno
Avvezzando ognun si vien.

Questa ognor vie più contento
Far sapea ciascun di se,
E brillava ogni momento
D’alcun novo non so che.

Segue il grido, e a lei sen vola
Ogni giorno un disertor,
Resta alfin la bella sola
Senza regno, e senza amor.

La beltà sempre e la stessa;
Ma lo spirto altra ha virtù,
D’appagar sé quella cessa:
Questo appaga ogni dì più.

Pagina 5

IV.
L’Uomo e il Cavallo.

Uom che la prima volta
S’avvenne in un Corsiero,
Che animoso e leggiero
Sco’e la chioma sciolta
Stronca boscaglie e salci,
Scaglia a più coppie i calci.
Empiè le selve e i liti
Di sonori nitriti;
Quell’uom s’impaurì,
E via se na fuggì.

Un’altra volta il vede
Ma con minor paura;
Cauto appressando il piede
I moti, e la struttura
Di contemplar gli giova;
La terza volta il trova
Mentre a farsi satollo
Pe’ larghi campi attende,
Gli gitta un laccio al collo,
E ad obbedir gli apprende.

Oggi soffrir t’è greve
Ciò ch’è noioso e brutto?
Lo soffrirai tra breve:
L’ uomo s’avvezza a tutto.

Pagina 5,6

V.
I Topini.

Nella lingua ch’Esopo
Primo intese fra noi,
Cosi parlava un Topo
A due de’figli suoi:
Del nemico al ritratto
Mente, o figli, ponete,
E a fuggirlo apprendete,
Un mostro orrend’ è ‘l gatto;
Occhi che gittan foco;
Eternamente ingorda
Bocca di sangue lorda,
Entro cui denti han loco
Che ignorano quiete;
A’ pie feroci artigli:
Ecco il ritratto, o figli,
A fuggirlo apprendete;
Piange sì detto, e tace,
E li congeda in pace.
La coppia fanciullesca
Cerca fortuna ed esca;
Un di mentre all’amore
Fean con un caciofiore,
A un tratto nella stanza
Vispo gattin s’avanza,
Buffoneggiando va,
Corre qua; corre là,
Salta, volteggia, e ogn’atto
E’un vezzo, è un giocolino;
Non è già questo un gatto,
Van dicendo coloro
Intenti a’fatti loro.

Ma l’amabil micino
D’improvviso si slancia,
Uno afferrò alla pancia
Colle, zampe scherzose,
E l’altro in fuga pose:
Il qual per la paura
Si chiuse in buca oscura.
E prima che morisse,
Padre di fame io pero,
O padre, tra se disse,
Tu non dicesti il vero.

Mal prendi a colorire
Deforme il vizio ognora:
Mostra che sa vestire
Ridenti forme ancora.

Pagina 6,7

2 pensieri su “5 Favole dell’Abate Bertola

I commenti sono chiusi.